
Teatro Antico e Cappella
Musicale di San Giacomo
in
Dal convento di Arcetri.
Suor Maria Celeste:
le lettere di Virginia Galilei al padre
Letture
Donatella Ricceri
Musiche di fr. Guglielmo Lipparini, agostiniano
eseguite dalla Cappella Musicale di San Giacomo
Nota
introduttiva:Roberto Cascio
Lettere al padre, è il titolo dato da Bruno Basile (Salerno Editrice), alla raccolta degli
scritti che Suor Maria Celeste (al secolo
Virginia Galilei), clarissa nel monastero di S. Matteo in Arcetri, inviò
al padre tra il 10 maggio del 1623 e il
10 dicembre 1633. E’ una lettura affascinante. E’ la storia di una famiglia, o
meglio di una parte di essa, lunga quasi 10 anni raccontata da dietro le grate
e le porte chiuse di un monastero. Il padre
destinatario delle lettere è Galileo: scienziato, matematico, meccanico,
filosofo rivoluzionario, inquisito e processato da una Chiesa che non voleva
accettare le implicazioni teologiche ed esistenziali che le teorie copernicane
annunciavano. Tanto grande e nota è la
figura di Galileo che nelle Lettere l’attenzione
(a volte, e impropriamente), è più rivolta a cogliere quegli elementi e quelle
particolarità che aiutano a definire meglio il suo personaggio piuttosto che
quello di chi scrive: la dolce, mite e premurosa figlia Virginia. Nulla o quasi del pensiero
scientifico di Galileo emerge da queste carte che invece lo vedono coinvolto in
quotidiane faccende di casa e di convento, in contingenti necessità da
risolvere e in questioni familiari.
Abbiamo un Galileo ritratto come uomo ordinario, uomo di tutti i giorni, tanto
che non è improprio immaginare che, all’improvviso, mentre sta con l’occhio
attaccato al telescopio o al microscopio (intento a scrutare l’infinitamente
grande o l’infinitamente piccolo), oppure mentre ragiona e scrive i dialoghi di
Simplicio e Sagredo, gli balza in mente
una cosa da fare per la mula o per il vino, o quanto erano buoni i biricuocoli
che Virginia gli aveva fatto avere oppure cosa deve ricordarsi di dire al sig.
Rondinelli, a Geppo o alla cara figlia. La lettura di queste carte ci pone dietro
le quinte della scena aperta e
visibile (perché più conosciuta) della vita di Galileo; ci fanno vedere quello che accade dietro il palco, come
fossimo in mezzo alle corde e ai tiranti, ai teloni, alle luci e ai meccanismi
e al fianco degli addetti , vicino al direttore di scena e di regia o ai
personaggi in attesa di entrare per la battuta. Una pagina dopo l’altra,
poco alla volta, si cominciano ad immaginare odori, colori e sapori, a
vedere scorci di campagna toscana, a sentire quasi l’umidità delle celle e a
percepire e intuire una possibile quotidianità seicentesca. La formula della
lettera, quindi del parlare diretto concede a chi legge la possibilità di un
immediato immedesimarsi nell’azione col risultato che si ha la sensazione più del
romanzo che del documento storico. Suor Maria Celeste informa l’amato padre
sugli affari di famiglia, sulle cose di casa e del monastero (come il
drammatico tentativo di suicidio di una suora o le questioni relative
all’affitto di una cella più confortevole -ma sarebbe bastato dire: meno
fredda). Si parla di tutto, dalla salute del fratello e della mula, alle
medicine e al vino; dalla vita in piccionaia all’avvicendarsi delle stagioni e
di ciò che si portano dietro; le fioriture, le gelate, il caldo, le giornate
piovose; dell’orto e della crescita a volte rigogliosa, (ma avara di frutti),
delle piante; e poi ancora di quello che
accade alla gente intorno: agli amici, agli aiutanti, ai contadini e ai
signori; e poi della peste e di cosa
fare e di come essere ( già il buonumore era considerato un buon rimedio) e
quali medicine e alimenti assumere per combatterla (miscugli di fichi
secchi, noci, vino e miele e magari un buon brodo di pollo). Un resoconto
sempre appassionato, rispettoso e affettuoso, fatto spesso la notte, a lume di
candela, alla fine di intense giornate di lavoro. Si parla di cose
normali:della salute, della paglia per la muletta, dell’inasprirsi del vino,
dei dolci di cedro, del pane, del mal di denti o del mal di pancia e del
freddo, di Galileino ( il piccolo nipote, figlio del fratello Vincenzo),
dell’imbarazzo avvertito per un goffo malinteso circa le uova bufaline, delle
pillole papaline e delle pastiglie di aloè intinte, (per addolcirne il gusto
amaro), più e più volte nell’acqua di rose. Emergono le storie di personaggi
come il garzone Geppo, la consorella Suor Luisa o il sig Rondinelli. Le loro apparizioni si
seguono con curiosità crescente, lettera dopo lettera. Con sorpresa si apprende che Galileo
talvolta eccedeva nel gusto del bere,
che ha scritto una commedia (inviata alla figlia; non di rado le monache
rappresentavano e scrivevano commedie a sfondo morale) e che bene si intendeva dell’allevamento di piccioni; che produceva vino (in parte venduto allo
stesso convento di S. Matteo in Arcetri) , che
pativa per febbri reumatiche, artrosi e ernia. Tutte cose che il
gigantismo della sua figura di scienziato e filosofo hanno posto molto lontano
dalla comune immaginazione. Così come
lontana dai clamori dello storico processo dell’Inquisizione romana, ( ma forse
è più corretto dire, a parte) appare
Virginia che, sempre teneramente
preoccupata per la salute corporale e
spirituale del padre, sembra non volersi addentrare nelle sue complesse
questioni processuali, confidando da una parte, nel senso di ponderato e
benevolo giudizio dell’ Inquisizione, dall’altro nella totale convinzione
dell’impossibilità del padre di compiere atti contrari al volere della Chiesa.
Pur nella loro essenzialità si elencano alcune note biografiche e un
glossario, tratto dal libro di Bruno Basile, utili all’ascolto delle letture.
Personaggi:
-Suor Arcangela Livia Galilei, sorella di Virginia e Vincenzo. Monacata in S. Matteo in
Arcetri .
-Suor Chiara (cugina di Virginia, figlia di Benedetto Landucci e Virginia Galilei,
sorella di Galileo). Monacata in S. Matteo in Arcetri .
-Suor Maria Celeste: (1600-1634). Aveva ricevuto educazione musicale
(forse dal padre). Aveva subito molte estrazioni dentarie;l epoca ignorava ogni
prassi curativa; soffriva di mal di stomaco e di emicranie.
-Galileo costruiva telescopi e microscopi; nel marzo 1628 si ammalo’ gravemente; orto e vigna erano le
uniche distrazioni (per via dei suoi
reumatismi non avrebbe dovuto restare all’ umido e all’ aperto); era meccanico
esperto, fu tra i primi a studiare l applicazione del pendolo all’orologio. Dal
23 aprile del 1633 fu costretto a letto dai suoi reumatismi.
-Galileino: nipote di Galileo, figlio di Vincenzo.
-Michelangelo Galilei (morto 3 gennaio
1631) aveva sette figli. Tra queste Anna
Maria, che morì a soli 9 anni 1625-1634 e Melchide, la figlia maggiore
, morta giovane nel 1634, anno in cui morì anche la moglie, Anna Chiara
Bandinelli (ndr.:1634 morte anche
diVirginia).
-Ronconi
Giovanni : medico della famiglia
Galilei. Tentò di sottrarre G. al processo del Sant’Uffizio.
-Rondinelli Francesco: (1589/1634) . Scrisse Relazione del contagio stato in Firenze l’anno 1630 e 1633. A lui
Galileo concesse, durante la propria assenza, l’uso del Gioiello (nome che fu
dato al villino, vicino al monastero, che Galileo, per star più vicino alla
figlia, prese in affitto).
Giuseppe detto Geppo: garzone di Galileo.
Glossario:
Acciaiato: medicato (mediante limatura di acciaio
lasciata in infusione).
Acciarpate: raffazzonate.
Accieggie:beccacce.
Acqua del Tettuccio: all’epoca famosa acqua minerale curativa.
Acqua di Pistoja:
un’acqua ritenuta miracolosa contro la peste, diffusa da suor Orsola Fontebuoni
(1559-1639), badessa del Monastero di S. Mercuriale a Pistoia. Era “acqua del
pozzo di detto monasterio, per essersi vociferato esser stata tal acqua
benedetta da San Benedetto”
Agate: una varietà
pregiata di calcedonio; pietra dura usata per i rosari.
Aloe (aloè): succo
dell’omonima pianta ( la più pregiata giungeva dall’arabia, l’aloè socotrina),
consumato in cristalli per le proprietà eupeptiche e purgative
Ampolla..scorpioni:
l’olio con infuse le ceneri di scorpioni era ritenuto medicamentoso.
Acqua di cannella: la
scorza del Cynnamomum ceylanucum, era creduta, in infuso, medicamentosa.
Arnione: rene
Astore: uccello rapace
dei Falconiforme, impiegato per la caccia come “falcone maniero”.
Berlingozzi:ciambelline.
Biricuocoli: paste dolci
di farina e miele.
Calcetti: calzettoni.
Catarro nelle reni: in
quei tempi, si credeva che le affezioni renali si dovessero a discesa di catarro.
Cantucci: biscotti di
farina, chiara d uovo, zucchero e mandorle, tagliati a fette.
Calicioni: pasta con
zucchero e mandorle.
Carboncelli:
sintomo(vescicole) e causa (tifo petecchiale) della pestilenza.
Cauteri:bruciature
terapeutiche
Cedrati: cedri.
Ceppo: salvadanaio
Cerusico: chirurgo.
Collari: moda
seicentesca. Colletti alti e inamidati o arricciati (lattuga).
Coltrone: coperta
imbottita.
Condizionate:
confezionate.
Cotognato: marmellata di
cotogne.
Crazie: monete della
toscana granducale.
Etica:tubercolotica
Fiori di ramerino: fiori
di rosmarino (che venivano messi in conserva; Galileo ne era ghiotto.) Dall’
uso antico di rendere eduli certi fiori.
Fare miccino: tenere da
conto.
Fortezza: inacidirsi,
inasprirsi (del vino).
Furore: si riteneva che
la follia fosse dovuta ad un eccesso di umore melanconico.
Impannata: provvista
d’infissi.
Infetta: ammalata
Girello: pasticcino.
Girelletto: compressa.
Giulio: moneta:carlino
d’argento.
Gragnola: grandine.
Graniglia: bavero alto,
gorgiera (alla spagnola).
Guastada: caraffa.
Lattovaro: un elettuario
medicamentoso contro la peste.
Lucchesino: stoffa i lana
grezza, fabbicata a Lucca.
Lugliola: di luglio.
Mal cattivo: la peste.
Mangiative: alimentari.
Melangole: arance
(amare).
Melarancie:arance.
Metadella:caraffetta.
Morselletti: bocconcini
canditi.
Mostaccioli: dolcetti di
farina impastata col miele, mosto cotto, uva passa, mandorle tritate e fichi
secchi.
Mossimele: un syropus
acetosus de melle, ritenuto diuretico e febbrifugo.
Musco: muschio (profumo)
Oppilazione: occlusione
intestinale.
Oriolo:orologio
(meccanico).
Ortolani:uccelletti dei
Passeriformi: di passo estivo, oggetto di caccia.
Oxilacchara: confezione
di zucchero e aceto con estratti vegetali
contra tristiam melancholicam et
epilepsiam.
Padiglioni: baldacchini
da letto per proteggersi dall’umidità
Pannaiuola: lavandaia.
Parare e sparare: mettere
e togliere i parati.
Pasta reale: dolce di
farina, zucchero e uova (simile al pan di spagna).
Pescetti di marzapane:
pasticcini di mandorle, bianco d uovo e zucchero.
Piastra: scudi d’argento
(1 piastra equivaleva a L. 7 toscane).
Pietra del
paragone:varietà di diaspro nero scistoso, usata per riconoscere la purezza
dell’oro.
Pillole papaline: pillole
lassative.
Pinocchiato: pasta dolce,
fatta di bianchi d’uova montati, pinoli e zucchero.
Rabarbaro: rizoma della
pianta di uso medico, usata per affezioni di stomaco e intestino.
Rogna: scabbia.
Sargia: tessuto di lana
pettinata.
Scaponire: togliere
dall’impuntatura la mula riottosa.
Sconcertero: entrare in
crisi ( la malattia, all epoca, era considerata sconcerto di umori).
Serviziale: clistere.
Soggoli:ved. Tela di
soggoli
Stillare: spremere.
Sugo di rose: un
astringente profumato.
Tela di soggoli: tela per
la benda che le monache portano sotto (o intorno) alla gola.
Uccellatore: cacciatore
di uccelli.
Uova bufaline: si chiama
così una certa qualità di latticino in uso anche ai nostri giorni.
Verdea: tipo di vino
bianco.
Zafferano: all’epoca era
considerato medicinale ( eupeptico).
Zibaldone: ciambella con
uva passa canditi.