Lettere e racconti di un Cavallerizzo.
Atto Unico
Presentazione
e introduzione
Una piccola
commedia (un attore, una comparsa, un atto unico), scritta con le parole delle lettere che il
Conte Francesco Maria Zambeccari, da Napoli,
spedì al fratello Alessandro, a
Bologna. Francesco, dal 10 luglio 1708 è a Palazzo Reale, ..............
come
dignitario sopraintendente delle scuderie di corte, cioè come
Cavallerizzo, a servizio del ViceRè,
il cardinale Vincenzo Grimani, terzo ViceRè del Regno di Napoli da un
anno sotto il dominio austriaco. Da quel
luglio del 1708, tutti i martedì, fino
all’estate del 1719, quando lascerà la città partenopea per Milano, Francesco
scrive al fratello Alessandro, il maggiore di casa, rimasto a Bologna ad
amministrare i beni familiari. Le lettere, trattandosi di una corrispondenza
familiare e privata (fatte salve le convenienze che l’etichetta nobiliare
imponeva), sono scritte in modo schietto e vivace e utilizzano un linguaggio semplice, confidenziale, quotidiano,
a volte non privo di scurrilità.
Francesco
dimostra di essere di carattere aperto, ironico e ciarliero e parla di quello
che gli accade nella vita di tutti i giorni: dagli acciacchi fisici alle ricette casalinghe per guarirli o a
quelle adottate per preservarsi dalle pestilenze degli animali; dalla richiesta
di denari (per esempio, perché preso
dalla necessità di comprare dei panni che lo proteggano dal freddo invernale - e scopriamo anche che a maggio, nel
napoletano poteva nevicare!), alle lamentele per il persistente mancato arrivo
del mensile familiare (quello appunto che Alessandro doveva mandargli, ma che
non arrivava mai e, causa questi gravi ritardi,
il povero Francesco si trovava costretto a chiedere prestiti in giro
sapendo già che non poteva onorarne la restituzione tanto che quando usciva di
casa doveva svicolare furtivo per
evitare i creditori, lui il Cavallerizzo, il nobile Zambeccari, e speriamo che
il ViceRè non lo venga mai a sapere!). E poi, più volte, nelle lettere parla di odoroso tabacco (il suo preferito? il
mezza grana lavato!), di corrieri e di posta, di ducati, di scudi e di fiorini,
di scatole di tartaruga e di retine per la testa o di bastoni col pomo, di guerra e di flotte armeggiate, di città
bombardate, di turchi, di armistizi, di miracoli, di contenziosi legali (in
corso a Roma da anni) e quindi di procuratori e di cose giuridiche e della
necessità di elargire mance per ostentare una inesistente agiatezza economica
che doveva servire ad acquisire quel prestigio e quell’ autorevolezza che
potessero tornare utili nell’influenzare le soluzioni delle questioni legali.
E
ancora,Francesco racconta di mille cose:
delle partenze in carrozza alle
due di notte ( come da ordinario servizio di posta) per il viaggio di ritorno
da Roma a Napoli, o della sua visita al Papa, o della strada migliore per
raggiungere Bologna; dei corrieri e della tratta che percorrevano via terra e via
mare pacchi e lettere, delle stufe d’Ischia e del fustagno per camicie e berrettini.
In somma, una cronaca settimanale della una vita ordinaria di un nobile
cavallerizzo, indebitato e appassionato
di tabacco e di musica.
Il Padrone di Francesco, il Cardinale Vincenzo
Grimani, apparteneva ad una antica e nobile famiglia veneziana. Vincenzo e il
fratello Carlo erano appassionati cultori e mecenati di musica e teatro. Il
fratello Carlo nel 1678 fonda a Venezia quello che sarà fino ai primi decenni
del 700 uno dei più famosi teatri d’opera d’Europa, il San Giovanni Grisostomo . Vincenzo, tra
l’altro collezionista di opere e libretti,
si prodiga nell’attività musicale di librettista, scrivendo l’ Agrippina che, affidato per le musiche a
Georg F. Handel, verrà rappresentato nel
teatro di famiglia, appunto il San
Giovanni Grisostomo.
Era
uso, per le compagnie che allestivano a
Napoli le nuove opere ( i due maggiori teatri cittadini sono quello di San
Bartolomeo e quello dè Fiorentini), fare una prima esecuzione privata a Palazzo
Reale, in favore del ViceRè, il famoso Grimani. Francesco come uomo di corte,
evidentemente più esperto di altri nelle cose di musica, era coinvolto nell’accoglienza e prima ancora
nel reclutamento degli artisti. Questo spiega, perché nelle sue lettere al
fratello, a parte la sua personale passione per la musica, vi siano tanti
riferimenti a cantanti, a compositori e musicisti o a impresari ( come il mal
sopportato Contarrini, capace solo di fare il gratiano!). Nelle lettere Francesco chiede più volte ad Alessandro
informazioni su cantanti e canterine,
racconta aneddoti ( spesso vivaci e divertenti), esprime, senza tanti
complimenti, giudizi e commenti. Ammira la voce e il mirabile gesto scenico di Nicolino (Nicola Grimaldi ), adora la
Margherita Durastanti e la Santa
Marchesini detta la Marchesina; detesta la Francesca Miniati ( una canterina sgarbata e
pettegola) e quell’ubriacona superba della Croce. Racconta della delusione
avuta dalla Cerè e si complimenta con la città di Bologna per essere riuscita a
liberarsi di una tale schifenza. E poi,
confessa che avrebbe voluto prendere
sopra di sé la gestione del S. Bartolomeo,se non fosse per il fatto di non avere dennari più del semplice
necessario.
Francesco,
Cavallerizzo di Sua Eminenza il Cardinale Vincenzo Grimani, ViceRè del Regno di Napoli, di ritorno da una passeggiata, entra nella
propria stanza, dove il servo Agostino, dilettante di liuto, lo aspetta con una
nuova lettera del fratello Alessandro. Francesco dopo aver colmato il
fornellino della pipa di fragrante mezza grana lavato, la legge e declama la risposta ad Agostino,
armato di penna e calamaio. Risponde punto per punto alla missiva del fratello.
Tuttavia divaga, si disperde, interrompe il dettato per lasciarsi andare dove
lo portano i flussi del pensiero,ma ….. in fretta, senza perdere tanto tempo,
perché deve calare à basso à sentire la
prima prova del Carlo Rè d’Alemagna,
che è dello Scarlatti.